Franco Battiato, l’uomo dell’Isola dei Giardini : l’atto d’amore di Guerrera
Il diciotto maggio dello scorso anno il mondo della musica nella sua espressione più alta perdeva uno dei suoi più grandi interpreti in assoluto. Dopo una lunga ed estenuante malattiase ne andava Franco Battiato, lasciando un vuoto difficile da colmare in chi lo ha amato, seguito per la sua creatività di compositore eclettico e apprezzato per la sua natura di uomo generoso e sensibile.
A rendere omaggio a quel suo genio, è appena stato pubblicato ‘Battiato – L’uomo dell’Isola dei Giardini’ ( Edizioni Minerva) di Guido G. Guerrera, scrittore e giornalista, nota firma di Luce! e dei quotidiani del gruppo Monrif.
E’ specialmente un Battiato ‘intimo’ quello che emerge dalle pagine del volume in cui spiccano i contributi dei tanti personaggi che sono stati al suo fianco e hanno strettamente collaborato con lui. Da Filippo Destrieri a Juri Camisasca, passando per Antonio Ballista e Carlo Guaitoli, fino ad arrivare a Syusy Blady e Giovanni Caccamo. Testimonianze ricche di aneddoti e piene di partecipe commozione, nel ricordo dell’amico che solo in apparenza con c’è più perché invece la sua presenza pulsa di vita nel cuore di ognuno , come ‘con parole sue’ e in modo efficace sottolinea Umberto Broccoli nella prefazione.
Guerrera racconta in prima persona il lungo viaggio compiuto insieme a Franco, un’amicizia durata trent’anni e costellata di conversazioni, confronti su temi filosofici e simbolici cari a entrambi e contrassegnata da una articolata serie di interviste rilasciate al giornalista per QN nell’arco dei tre decenni. Si parla dunque del personaggio Battiato, con la sua produzione artistica assolutamente unica e dell’uomo, soprattutto di Franco, che nel privato era una persona semplice, dotata di straordinario senso dell’humour e sempre disponibile.
Franco Battiato ha toccato con profondità, competenza e notevole delicatezza tante tematiche, come nel caso dell’amore che a suo giudizio ha valore solo quando lo si pensa assoluto e universale. Oppure quando affronta temi socialicomponendo canzoni di denuncia come ‘Povera Patria’, e sfiora i drammi della guerra allorché quarant’anni fa descriveva ‘l’ira funesta dei profughi afghani che dal confine si spostarono nell’Iran.’ Un Battiato che vive in ogni pagina del libro per quello che è stato e continua ad essere, per quella promessa di ‘tornare ancora’, e soprattutto grazie a quel suo rivelarsi ‘cura’ incomparabile nei confronti dei tanti ‘esseri speciali’ , divenuti scrigno della sua intramontabile arte. Al quarto libro sulla figura di Franco Battiato, Guerrera, che ha goduto del privilegio di avere il pieno appoggio del compositore siciliano con una costante partecipazione e il personale consenso dell’uso dei suoi dipinti come cover, arriva a quest’ultimo ‘L’uomo dell’Isola dei Giardini’ regalando al pubblico dei lettori un Battiato decisamente inedito e per molti versi sorprendente.
Cosa ha significato per lei scrivere questo libro?
“All’inizio mi è costato parecchio. Mi fermavo spesso in lacrime e la commozione aveva il sopravvento, e non riuscivo a rassegnarmi di aver perso un amico così importante per me. Poi all’improvviso tutto si è fatto lieve e così ho scoperto di essere come incitato e protetto da un ‘invisibile carezza’: Franco da una dimensione diversa dalla nostra ma assolutamente presente mi incitava a proseguire, a fare bene quel mio lavoro”.
In che modo racconta stavolta ‘il suo’ Battiato?
“Cercando di usare il massimo rispetto nei suoi confronti e facendomi sorprendere dalla sua natura in modo da trasferire al meglio queste mie sensazioni. Franco non era mai uguale a se stesso nella vita così come nel suo ruolo di uomo di spettacolo. Un modo di vedere le cose fortemente coraggioso e contagioso, perché Battiato era senza dubbio una persona molto curiosa e proprio questa sua prerogativa lo spingeva verso l’esplorazione di ambiti artistici in apparenza differenti”.
Che cosa ha rappresentato per voi essere entrambi siciliani?
“Ogni siciliano sa di essere una miscellanea di contrastanti emozioni, di dovere fare i conti con una natura magmatica quanto quell’isola e per questa ragione celebrerà in ogni occasione possibile riti di appartenenza uterina tra sé e quelle potenti origini. Le proprie radici non possono essere rinnegate neppure volendolo. Radici che nel caso di Franco erano potenti quanto il suo rapporto con la madre che era in un certo senso metafora di quella terra contraddittoria in tutte le sue espressioni”.
Cosa le manca di lui in modo particolare?
“Tutto e niente. Mi spiego: Franco vive ‘come un incantesimo’ in me da sempre. Da quando sono stato come folgorato all’inizio degli anni Ottanta ascoltando per caso ‘Centro di Gravità Permanente’. All’inizio ne rimasi quasi sconcertato, poi si insinuò in me un interesse sempre più emotivamente partecipe. In quel momento scoprii che quella magia di suoni e testi si fondeva perfettamente con il mio percorso spirituale. Iniziai a suonare al piano le sue canzoni e scoprii che niente mi avrebbe coinvolto per sempre di più. Quindi mi manca adesso la sua voce al telefono, la sua presenza, i caffè d’orzo presi assieme, le anteprime dei suoi dischi alle quali spesso reagivo con una mia frase che a lui doveva piacere molto: ‘di nuovo hai scritto cose che sembrano benedette da Dio…’. Ed era vero. Perché Franco amava la sincerità che a sua volta donava a piene mani. Una cosa ci tengo a precisare: non sono un tecnico e, con tutto il rispetto per chi lo è, evito di esserlo perché la mia inclinazione è quella che privilegia le vie del cuore e molto meno quelle della fredda ragione “.
Quindi?
“Quindi il mio libro è essenzialmente un atto d’amore, con tutte le possibili e fatali imprecisioni tipiche del prevalere della passione. Ma di questo sono contento, anzi felice. Perché così Franco me lo sento ancora vicino, perché ho la certezza piena e calda di avere una volta di più la sua approvazione come quando dopo aver scritto la mia prima biografia su di lui mi telefonò, esclamando con la sua tipica intonazione che ho ancora nelle orecchie: ‘Guido, ma che vuoi vincere un premio?’…”
Stile, eleganza e Garbo.
Sintesi perfetta per dipingere con pochi tratti la personalità di un poliedrico attore come Gennaro Cannavacciuolo, adesso protagonista di uno spot pubblicitario in cui spicca immancabile la statura dell’istrione che ammicca e gioca con ironia sulla quasi omonimia che lo associa allo chef Antonino. Gennaro, molti chili in meno, la disinvoltura del maître che regala ai clienti le prelibatezze della Garbo Surgelati, racconta però un’altra storia: quella di un’azienda che con professionalità e impegno serio ha deciso di dare la scalata mediatica al mercato del settore per conquistare un posto di autorevole prestigio. E la storia dell’azienda sembra adatta a una fiction, di cui Cannavacciuolo potrebbe essere l’interprete. Un ex carabiniere, Andrea Comanducci decide un bel giorno di dare una svolta alla sua vita e diventa imprenditore. E’ il successo pieno, perché i suoi prodotti arrivano sulle tavole degli italiani, piacciono e diventano presto sinonimo di eccellenza. Con questa campagna pubblicitaria la Garbo Surgelati sbarca sui canali televisivi nazionali, mentre l’agenzia AF Project, leader nel panorama pubblicitario, ha individuato proprio nell’attore partenopeo il testimonial ideale per propagandare i prodotti di punta. Uno spot cinematograficamente ineccepibile, che pur nella necessaria brevità del suo racconto armonizza con grande senso estetico il prodotto proposto, il volto dell’attore e l’ambiente circostante creando un gradevole mix di allegria, senso del benessere, del buon gusto e del piacere condiviso dello stare a tavola. Ed eccolo il nostro chef divertito mentre frigge gli squisiti ‘pastellati’, quindi con una giravolta atletica li serve ai commensali conferendo un tocco affascinante e carismatico, tipico delle sue mille maschere attoriali e con sorprendente disinvoltura… Uno spot avvolgente, dove ogni gesto è sinonimo di gentilezza e… Garbo.
Read MorePresentazione “la nave dei sogni” con la presenza di Pupi Avati il 23 Febbraio a Prato, il 26 Febbraio a Bologna e il 5 marzo a Catania
STAY TUNED….
Read MoreIo e Ernest Pivano Hemingway- sul filo di un amore- Romanzo Edizioni Minerva
https://gennarocannavacciuolo.com/home/operette/itemlist/tag/guerrera.html
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Recensione di Roberto Giardina su QN
E´ un romanzo controcorrente, diciamo pure (fortunatamente) fuori moda, l´ultimo di Guido Guerrera. Non parla di giovani sdraiati, i rampolli dell´élite, o di tutti gli altri rassegnati, non si occupa di profughi di solito colti e saggi che ci fanno la morale, non un romanzo fantasy pallida imitazione di Tolkien o di Harry Potter, non è un giallo sociale, né un romanzo come quelli, tutti uguali come orate da allevamento, uscito dalle scuole di scrittura. Ed è un romanzo d´amore ma senza sesso, almeno tra i protagonisti. In altre parole “Io e Ernest- Pivano Hemingway sul filo di un amore”, (Minerva editore; 125 pag.; 12 euro) è un libro da gustare per chi ama il piacere della lettura. Un romanzo sulla creazione letteraria, il suo fascino, e mistero.
Guerrera è un esperto di Hemingway, di lui sa tutto, e si diverte, e ci diverte, a immaginare una storia d´amore tra l´autore di “Fiesta” e la sua traduttrice italiana Fernanda Pivano, che ha conosciuto personalmente. C´è una cartolina inviata da Ernest a Fernanda con la parola “Love” che, come si dovrebbe sapere, in inglese non vuol dire sempre “ti amo”, eppure tra lo scrittore e la Pivano ci fu un lungo rapporto amoroso per decenni, una passione di testa, uniti dai libri che uno scriveva e l´altra rendeva in italiano. Hemingway sembra facile da tradurre, invece è complicato rendere il suo ritmo passando da un inglese secco alla sonorità della nostra lingua.
Si incontrarono a Cortina e tornarono a vedersi, da New York a Venezia, a Cuba. Ernest la travolge di parole, le parla di quel che ha scritto, e di quel che avvenne realmente, e delle sue donne, avute o non avute, da Marlene all´adolescente africana che avrebbe perfino sposato. Qual è la verità? Che importa? Ernest sostiene di avere avuto una storia anche con Mata Hari, ma la spia olandese, sempre che lo fosse, era già stata fucilata dai francesi quando il giovane americano giunse in Italia per andare in guerra. Gertrude Stein disse che Hemingway sarebbe stato un grande se avesse imparato a scrivere la verità. Ma, se posso osare, Gertrude si sbagliava. Era una critica dal fiuto eccezionale e, giustamente, non scrisse mai romanzi (al contrario di alcuni odierni colleghi italiani).
Un romanziere mente sempre, innanzi tutto a se stesso. Se sapesse qual è la verità, scriverebbe solo pagine banali. Se ha talento quel che scrive è sempre vero, anche se non autentico. Come la storia che ci racconta Guerrera. Ci conduce sul fronte di “Addio alle armi” e al primo amore (rimasto di carta) con l´infermiera Agnes von Kurowsky, alla Parigi di “Festa Mobile”, alla pesca del Merlin al largo di Cuba, a caccia di leoni e a seguire il duello tra i due toreri Ordonez e Dominguin, durante un´intera “estate pericolosa”, l´ultima opera che non fece in tempo a finire, o non volle, prima del suicidio nel 1961. Le pagine più poetiche, tristi e passionali sono quelle degli incontri a Venezia, tra Ernest e una Fernanda consapevole del declino del suo amato scrittore.
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Alice e Battiato: pura meraviglia
Trentadue anni dai tempi in cui li univa il meraviglioso brano dal titolo I treni di Tozeur e adesso rieccoli di nuovo insieme in forma smagliante. Come se il tempo non fosse mai trascorso. Alice e Battiato in Tour, una serie sconfinata di concerti in tutti i teatri e le piazze d’Italia, per continuare a lanciare nello spazio armonie che accarezzano le orecchie di nonni e nipoti. Un miracolo trasversale, quello di Franco Battiato, che ormai coinvolge la quarta generazione, per generare identici entusiasmi e infondere il balsamo struggente di suggestioni emotive sempre nuove.
Alice canta diverse canzoni di Battiato, altre scritte per lei dal cantautore siciliano, altre ancora composte dalla stessa artista forlivese. Carla Bissi, elegantissima sulla scena per gli abiti e nel portamento, è un’interprete di grande temperamento, dalla timbrica sensuale ed è l’unica capace di eseguire i brani di Battiato senza scadere nel ridicolo involontario.
Alice e Battiato: due anime che si incontrano e si fondono. C’è intesa tra i due, una complicità professionale intrisa di una amicizia che inizia lontana nel tempo e dura come la roccia. Così non appena lei comincia «Un giorno sulla Prospettiva Nevsky», il viso di Franco si illumina, ringiovanisce perfino e forse ritrova quella parte di sé lasciata nell’angolo di un qualche palcoscenico degli anni Ottanta.
Non a caso l’ultima composizione di Battiato si intitola Le nostre anime: oltre la vita ci si incontra e lei è quella di sempre, mentre lo sguardo trepido la segue da dietro senza farsene accorgere. «Ti proteggerò dai turbamenti che da oggi incontrerai nella tua via, perché sei un essere speciale», sono parole de La Cura, capolavoro in musica che io ho più volte definito il madrigale d’amore per eccellenza scritto in questo nostro terzo millennio.
Il concerto di Battiato e Alice va vissuto in tutta la sua carica emozionale, per il coinvolgimento nostalgico che genera chi ha già vissuto quelle atmosfere: è il mare di Summer in a Solitary Beach, in cui è bello naufragare, via dalle sponde di una vita ordinaria e senza vie d’uscita. Il poeta, come sostiene Kundera, vorrebbe ardere nelle fiamme della sua passione, ma finisce per soccombere al gorgo delle acque che si richiudono sui suoi ricordi e lo glorificano nella catarsi purificatrice. Le acque di Siloe cui ogni essere umano aspira per ritrovare se stesso.
Ascoltare Battiato significa questo e il suo pubblico, sempre attento, spesso colto e selettivo, va per ripetere mille volte questo rito. E lei, Alice, regina delle acque, è all’altezza del compito: afferra la fiammeggiante Excalibur e la custodisce negli abissi lacustri. Battiato e Alice, due nomi, due voci uniche, un solo percorso intrecciato in dedali di sottilissime intese. Lei apre con Nomadi di Yuri Camisasca, altro grande mistico e interprete raffinato, ne cesella parole e note, non vuole sbagliare una virgola. E non sbaglia.
Lui inizia “sparando”: L’era del Cinghiale Bianco. Le dita di Carlo Guaitoli e di Angelo Privitera volano sulle tastiere perché il giro armonico è bello tosto. Il pubblico è ormai in visibilio, si è già tuffato col pensiero nel mare antistante a Milo, come se fosse quello del loro beniamino e l’unico possibile. Nuota e naviga negli spazi interstellari. «Seguimmo per istinto la scia delle comete». Battiato non dà tregua e come Gurdjieff scuote il sonno dei dormienti. «Povera Patria, schiacciata dagli abusi del potere»: viene giù il palco per gli applausi.
Poi lei e lui ancora insieme, come una volta, come sempre. Unione di anime. E il pubblico mai sazio chiede bis. «Le serenate all’istituto magistrale», «Sul ponte sventola bandiera bianca», «Mister tamburino…». Attento Franco, non sporgerti, che cadere fa male. La folla si accalca sotto il palco, richiesta di autografi, scatti dei flash, selfie. Il delirio, tutte le volte. E la pace. Quella che scende dentro come un Oceano di Silenzio, sempre in calma.
Read MoreIl Banco del Portogallo a Lisbona
Ed ecco il Banco del Portogallo a Lisbona.
Esattamente com’era ai tempi di Alves Reis, il più abile truffatore di tutti i tempi.
Ai danni di questo istituto di credito si consumò
LA TRUFFA
Leggete questa avvincente storia nelle pagine del mio romanzo.
Vi affascinerà!